domenica 5 marzo 2023

Damnatio memoriae Druso!

 

Damnatio memoriae Druso!


      1 -  Reperto ka792

Tra le sculture marmoree della ex collezione comunale del museo di Centuripe, con numero d’inventario ka792, fa mostra di sé un busto marmoreo che,  a differenza di altri ritratti, quasi tutti provenienti dall’area degli augustali, è sempre rimasto a casa, a Centuripe. Gli altri ritratti, vuoi per l’intraprendenza di alcuni centuripini, vuoi per l’intraprendenza delle autorità, si sono dispersi in molteplici direzioni. Qualcuno di essi ogni tanto ritorna, ma poi se ne parte di nuovo.

  Questo ritratto, le cui dimensioni sono H:mt.0,39; L:mt.0,20; volto H:mt.0,25, invece è ormai da un secolo visionabile a Centuripe, forse perché parecchio rovinato e quindi non all’altezza(!) degli interessi più vari; infatti  risulta difficile l’attribuzione certa ad un particolare personaggio.  Ma siccome il presente testo non ha la pretesa di essere un contributo scientifico, cercheremo liberamente di formulare qualche ipotesi e capire se siamo di fronte ad un unicum.

Le descrizioni degli studiosi, che sin qui si sono occupati del ritratto,  accennano alle notevoli scheggiature e alle abrasioni che lo caratterizzano, ma mai è stata mossa una ipotesi sul perché della loro presenza.

Senza girarci troppo intorno, quelle inferte sul ritratto marmoreo sembrano delle vere e proprie martellate; un vero e proprio accanimento, su quel volto, a furor di pesanti martellate. Non si spiega altrimenti la sparizione del naso, della bocca, delle orecchie, del mento, dello zigomo sinistro, delle arcate sopraccigliari e infine la sbozzatura della massa dei capelli; quasi per rendere, da un lato, irriconoscibile quel volto e, dall’altro, perché no, favorirne il riutilizzo in qualche nuova opera muraria. La parte posteriore del ritratto, infatti, conserva indelebile una ampia traccia di legante o malta, a testimonianza di quale sia stato l’utilizzo ultimo del manufatto, così rimodulato e rabberciato.

 Queste operazioni sembrano, di fatto, il risultato conseguente a una “Damnatio memoriae”, di cui sia andata perfino persa la traccia storica dagli annali.

Damnatio memoriae significa letteralmente "condanna della memoria", ed era nel diritto romano una pena, riservata soprattutto ai traditori del Senato, consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se essa non fosse mai esistita. Molto in voga durante il periodo imperiale; i beneficiari sono stati innumerevoli.  Resta da capire chi fosse questo personaggio e di cosa si sia reso colpevole per suscitare così tanto risentimento,  odio e accanimento?

2 -  Una gioiosa dinastia imperiale

I primi cinque imperatori romani provengono tutti dalla dinastia Giulio-Claudia: Ottaviano Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone. Ma nel gioco delle successioni, come in un risiko, rientrano una molteplice quantità di parenti e di “potenti”, che a una prima lettura possono essere motivo di ubriacatura anagrafica; poi infine diventa tutto romanzo d’appendice, color rosso sangue.

Incastrati nella vicenda vi sono i tre Drusi: Druso Maggiore fratello di Tiberio, Druso Minore figlio legittimo di Tiberio e Druso Terzo, secondo figlio maschio di Germanico, a sua volta figlio di Druso Maggiore. 

Ma andiamo con ordine. Il 4 d.C. Germanico, ormai da tredici anni orfano del padre Druso Maggiore, viene adottato, su disposizione di Augusto, da Tiberio, diventando così il più serio candidato alla successione imperiale. Lo stesso anno vede inoltre l’unione tra Germanico e Agrippina Maggiore, unione da cui sarebbero nati nove figli, due deceduti appena nati, un altro deceduto da infante, e gli altri: Nerone Cesare, Druso Terzo, Gaio Cesare conosciuto anche come Caligola, Giulia Agrippina, Giulia Livilla e Giulia Drusilla.

Il 14 d.C. muore Augusto e Tiberio, che ha già 56 anni, diventa il nuovo imperatore di Roma. Il 19 d.C. Germanico, che si trovava ad Antiochia, si ammala e muore, non prima di aver confessato ad Agrippina Maggiore, la fedele moglie che lo seguiva sempre nelle campagne al fronte, la propria convinzione che era stato fatto avvelenare da Tiberio; probabilmente per favorire il figlio legittimo Druso Minore nella successione al trono. Intanto, nel gioco politico delle successioni, avanza la propria candidatura il potente prefetto Seiano, amico e consigliere di Tiberio, che decide intanto di colpire il successore diretto Druso Minore corteggiandone la moglie Livilla fino a portarla all’adulterio e corrompendo Ligdo lo schiavo fedele di Druso Minore che somministra al suo padrone un lento veleno che lo porta infine alla morte nel 23 d.C.. L’imperatore Tiberio si trova quindi costretto a cercare il proprio successore tra i figli di Germanico, ma Seiano, assetato di potere, è ancora li pronto a colpire il prossimo erede.

  Infatti dal 26 d.C. tutta la famiglia di Germanico inizia ad essere perseguitata da Seiano con la complicità del mandante Tiberio. Nel 27 d.C. Agrippina Maggiore e Nerone Cesare (non il futuro imperatore), suo primogenito, sono accusati di tramare contro Tiberio. Il prefetto Seiano riesce anche a convincere anche il secondo figlio di Agrippina Maggiore, Druso Terzo, istigando la sua invidia verso il fratello Nerone, favorito della madre Agrippina, a rivoltarsi contro di essi.  

Nel 29 Nerone e sua madre Agrippina Maggiore furono processati, imprigionati ed esiliati. Nei primi mesi del 31 Nerone Cesare muore, forse  suicidato da Seiano. Tiberio, nomina quindi Druso Terzo suo erede, ma  ciò non basta a salvare il giovane dalla furia omicida del ministro, deciso a eliminare con ogni mezzo tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei suoi progetti. Seiano usa ancora una volta l'arma della corruzione, e la sua nuova vittima è Emilia Lepida la moglie di Druso Terzo. Emilia, cedendo alle lusinghe di Seiano, accusa il marito d'ogni misfatto e nefandezza, compreso un tentativo di sommossa armata. Druso viene arrestato e condannato sotto pesanti imputazioni, raccolte da alcune spie che avevano avuto l'incarico di seguire i suoi movimenti, di ascoltare i suoi discorsi e di registrarli in un apposito diario. C'erano in quel diario tutte le sue imprecazioni contro Tiberio, le accuse feroci e l'invocazione agli dèi perché facessero pagare al mostro (Tiberio) tutti i suoi delitti. Druso Terzo, nel 33, ancora imprigionato, nelle cantine  del palazzo imperiale sul Palatino, viene lasciato senza cibo. Al nono giorno di digiuno, dopo aver tentato di sopravvivere divorando perfino il crine del pagliericcio, la sua fibra cede e non scampa alla morte. Dopo la sua morte Tiberio fa esporre il suo corpo in pubblico e infierisce senza alcuna pietà contro il defunto, presentandolo come un depravato sessuale, carico d'odio verso i suoi e pericoloso nemico dello stato. Non si ha certezza della pronuncia di damnatio memoriae in quella drammatica circostanza, ma la violenza e la cattiveria del gesto compiuto da Tiberio suscitano qualche sospetto in proposito. Basti sapere, come racconta Svetonio, che i resti del giovane furono talmente dispersi, che sarà un’impresa, in seguito, poterli raccogliere. Bisogna considerare inoltre che qualche resoconto, da parte degli storici, contemporanei alla vicenda, è andato perduto.

Sarà solo l’intervento illuminato e coraggioso di Antonia Minore, vedova di Druso Maggiore e nonna di Druso Terzo, che riuscirà nell’arduo compito di fare rinsavire il crudele sanguinario e ormai rimbambito imperatore Tiberio, fare perseguire e condannare il disonesto e corrotto prefetto Seiano, e salvare così l’ultimo figlio di Germanico, Caligola, da quella insensata carneficina.

3 – Damnatio memoriae, Drusus!

Il busto ka792, che è attualmente esposto presso il museo di Centuripe, potrebbe essere un ritratto di Druso Terzo, il figlio di Germanico, ucciso a soli 25 anni, con crudeltà e disprezzo da Tiberio, e di cui è difficile trovare confronti e riscontri. 

Nella ritrattistica romana Druso Maggiore è molto presente e ne conosciamo l’acconciatura e le caratteristiche somatiche. Dei tre figli maschi di Germanico, Nerone Cesare, Druso III e Caligola, sappiamo quasi tutto; ma solo Caligola vanta un repertorio molto numeroso di ritratti scultorei. Difatti fu il terzo imperatore, succedette a Tiberio, quindi i suoi ritratti sono ovviamente numerosi. Degli altri due figli di Germanico, considerata anche la sorte alla quale andarono incontro per volontà di Tiberio, abbiamo un numero irrisorio di ritratti. Sappiamo che i tratti somatici di Nerone Cesare, soprattutto il naso erano simili al padre, Germanico, e la faccia era decorata da una barba appena accennata sul perimetro del volto.

Uno splendido ritratto marmoreo in eccezionale stato di conservazione, attribuito a Druso Germanico, è esposto al Museo Nazionale di Copenhagen. Fu ceduto al re di Danimarca da Monsignor Capece Latro, arcivescovo di Taranto, ecclesiastico antiborbonico, che si concedeva il lusso del collezionismo. Provengono,  assieme ad un altro ritratto attribuito a Germanico, anch’esso in eccezionale stato di conservazione, da Taranto; furono rinvenuti con tutta probabilità nell’area dell’anfiteatro, che giace ancora sepolto. Non a caso, i due bei ritratti di principi, sono esposti a Copenhagen l’uno accanto all’altro.

Un altro busto, attribuito a Druso III, si trova a Grosseto presso il museo archeologico e d'arte della Maremma, proveniente dall’area archeologica di Roselle.

 I due ritratti di Copenhagen e di Grosseto, attribuiti entrambi allo stesso personaggio (Druso Germanico o Druso III), oltre a non somigliarsi per niente, sembrano descrivere personaggi in età più matura. Non bisogna dimenticare che gli ultimi tre anni di vita, per Druso III, sono stati una tribolazione; quindi gli eventuali ritratti, che lo rappresentino, dovrebbero risalire al 28-31 d.C. e dovrebbero descrivere il volto di un giovane poco più che ventenne.

Queste attribuzioni un po' forzate, sono la conferma della difficoltà di individuare il vero volto di questo sventurato giovane.

Dei due ritratti di Copenhagen, inoltre, quello attribuito a Germanico ha  le caratteristiche somatiche che lo avvicinano, vedi il naso, al volto di Agrippina Maggiore; quindi il ritratto di Copenhagen attribuito a Germanico potrebbe in realtà raffigurare non il padre ma il figlio Druso Terzo.  

Dall’accostamento e dal confronto tra il busto centuripino ka792 e questo ritratto di Germanico proveniente da Taranto, si può cogliere con evidenza che tratti e particolari sono interessanti per la similitudine delle fattezze e per le caratteristiche delle esecuzioni.

Anche Bonacasa sosteneva che il ritratto centuripino, per le caratteristiche e lo stile, poteva essere accomunato ai due ipotetici ritratti di Germanico a Copenhagen.

Da esperienze virtuali, procedendo con martellate digitali sul volto “tarantino” di Germanico e sottraendo da quel volto i medesimi tratti somatici che nel volto centuripino sono andati distrutti, se ne ricava una incredibile somiglianza; i tratti della bocca denotano la medesima espressione, la fronte la stessa ampiezza, i bulbi oculari la medesima forma, gli zigomi e la muscolatura facciale parlano la stessa lingua.  

Recenti tesi ritengono che la ritrattistica giulio-claudia centuripina sia indubbiamente contemporanea ai personaggi raffigurati e quindi da collocare alla prima metà del I secolo d.C.; se consideriamo le splendide condizioni nella quale sono arrivati sino a noi i ritratti “centuripini” di Augusto, Germanico e Druso Minore, come potrebbe spiegarsi, altrimenti, lo stato pietoso in cui è ridotto il ka792 ?

Sarebbe impensabile massacrare a martellate un ritratto a meno che non ci siano motivi di forma maggiore. Quindi se ne desume che il ritratto raffiguri Druso Terzo (o al limite un analogo destinatario di damnatio memoriae),  e che in seguito alla sua condanna a morte e l’impietoso accanimento postumo dell’imperatore Tiberio, il ritratto sia stato oggetto di particolari attenzioni (martellate) per cancellarne i tratti somatici e reimpiegato come pietrame da costruzione.

Incredibile comunque che, malgrado la cattiveria di cui è stato vittima, i detrattori e tutte le forme di disprezzo subite dalla persona raffigurata, questo ritratto sia ancora qui a raccontare la sua storia, ed essere testimone del suo tempo e dei nostri giorni.

                                                                                           Enzo Castiglione

Breve bibliografia:

-          Bonacasa Nicola – Ritratti Greci e Romani della Sicilia, 1964 – Palermo;

-          Boschung Dietrich - Gens Augusta, 2002;

-          Publio Cornelio Tacito - Annales

-          Gaio Svetonio Tranquillo – Vita dei Cesari III - Tiberio

-       Spinosa Antonio - Tiberio. L'imperatore che non amava Roma - Arnoldo Mondadori Editore 1985;

-        Portale Elisa Chiara, Un contributo “palermitano” al ciclo giulio-claudio di Centuripe – Mare Internum 2020 – Fabrizio Serra Editore;

-       Di Franco Luca - L’Arcivescovo Capece Latro e l’antico: collezionismo e ricerca antiquaria nella Taranto di fine Settecento – Atti Convegno 2019;

-        Fabbrini Laura – Il ritratto giovanile di Tiberio e la iconografia di Druso maggiore, 1964 - Bollettino d’Arte IV Serie;

venerdì 16 dicembre 2022

La collina e il federale

 

La collina e il federale


1 – La collina

La collina centuripina su cui sorge la chiesetta dedicata a San Nicola, rappresenta la parte terminale della città di Centuripe in direzione sud - ovest. Oggi si presenta in modo parecchio appariscente, per via della notevole struttura edilizia, sulla parte terminale, che nel corso dell’ultimo secolo  si è sviluppata accanto e tutt’intorno alla chiesetta, celando quest’ultima alla vista.

Filippo Ansaldi ci fa sapere che la parte terminale della collina, sulla sommità, ospitava  all’inizio dell’ottocento il camposanto, e che il quartiere era quindi stato nominato “del camposanto”. In un precedente post “La chiesa, le cripte e l’ospite illustre” abbiamo già avuto modo di vedere che Don Giovanni Luigi Moncada aveva fatto donazione al Comune di dieci salme di terre, tutt’attorno al monte su cui si innalza la chiesa di San Nicola. Aveva fatto costruire a proprie spese un Camposanto, contiguo a detta chiesa, del quale fu ordinata l'apertura il 1 ottobre 1817, e che quindi fu benedetto ed aperto il 15 marzo 1818; aveva fornito inoltre, per il funzionamento e la cura del camposanto, anche una rendita annuale. Nella planimetria redatta, qualche decennio più tardi dall’Architetto Bonaventura De Marco, per il catasto borbonico, si legge chiaramente dove si trova allocato a quei tempi il camposanto a Centuripe. Anche l’Ansaldi annota la posizione del camposanto nella sua bozza planimetrica dell’abitato centuripino allegato al testo del tomo secondo.

Arch. Bonaventura - Catasto borbonico

La planimetria catastale di fine ottocento, infine, riassume le strutture edilizie che erano state realizzate accanto alla chiesa di San Nicola e che nel tempo erano state utilizzate come camera mortuaria, alloggio per il custode o spazi comunque di asservimento per le attività cimiteriali e religiose. Ma, quando fu redatta questa mappa catastale, il camposanto lì non era più in uso, era stato realizzato ed era entrato in funzione l’attuale cimitero.

Panimetria catastale fine ottocento

L’aspetto e l’interesse archeologico di questa collina viene segnalato più volte dall’Ansaldi già nei testi delle sue ricerche: “Rimarchevoli son pure gli avanzi, che si osservano nelle terre censite del Camposanto, dalla parte d'oriente al­lorché furono verso il 1820, dissodate per piantarle a vigne, si rinven­nero avanzi di antiche fabbriche, che in parte tutt'ora si osservano, varii pezzi di musaico, e diverse reliquie di statue di marmo, e fra que­ste una testa e nove mani tutte sinistre, che furono vendute ad uno straniero.” Ed anche le ricerche archeologiche più recenti o i bisbiglii dei tombaroli hanno rivelato interessanti tracce sia di insediamenti antichi che di notevoli sepolcri nell’area di San Nicola o nelle pendici limitrofi e sottostanti.

                    

                            Vista pittorica di Centuripe (Royal Inniskilling Fusiliers) 

Le ultime tracce di eventi storici sulla collina appartengono alla seconda guerra mondiale. Questa collina denominata sulle carte militari “church 708” è stata una delle roccaforti centuripine del 3° Reggimento “Fallschirmjäger” tedesco, che, tra la fine di luglio e il 2 agosto ’43, ha tenuto sotto scacco, per giorni, l’area a sud della città e la rotabile che sale da Catenanuova, bloccando così l’avanzata di otto battaglioni della 38a brigata inglese; malgrado pochi giorni prima, il 28 e il 31 luglio, anche questa collina, come il resto della città, fosse stata letteralmente sbranata dai bombardamenti ad opera dei Martin a30 Baltimore della NATAF, devastando la città e prelevando un alto tributo di sangue innocente.


2 – Il federale

Pietrangelo Mammano nasce a Centuripe il 4 maggio 1906, è l’unico figlio del Cav. Salvatore e di Maria D’Amico; Salvatore in seguito sposerà, dopo la morte della prima moglie, la di lei sorella Anna.

Il nonno, Cav. Pietrangelo (1834-1911?), è un ricco proprietario terriero centuripino, molto religioso, benvoluto e affabile con tutti. Alla sua morte le immense sostanze saranno equamente divise tra tutti i suoi numerosi figli. Ma il nipote Pietrangelo classe 1906, a quanto pare, è l’unico nipote ed erede di questa ricca fortuna; infatti gli zii e le zie sono quasi tutti celibi o senza figli.

Iscritto sin dal 1922 al fascio, aveva poi percorso tutti i livelli di una irresistibile carriera all’interno del partito fascista. Prima come segretario del gruppo universitario fascista, in seguito segretario federale amministrativo; ma la sua personalità violenta e aggressiva si manifestò come massimo esponente del fascismo catanese tanto da essere definito “di gran lunga il peggiore di tutti i gerarchi” “l’implacabile custode dell’ortodossia littoria”. Particolarmente fiero della sua enorme testa pelata che lo faceva rassomigliare a Mussolini, aveva ricevuto l’incarico di segretario federale l’8 gennaio 1937 in sostituzione del precedente segretario Zangàra Vincenzo ed ebbe l’arroganza, addirittura, di prendere a calci l’ottantenne senatore Gesualdo Libertini. Il terrore della via Etnea, schiaffeggiava senza mezzi termini chi, al suo passaggio, non alzasse il braccio teso.

                                  Il segretario federale Pietrangelo Mammano, imitando gli 
                                  atteggiamenti del Duce, arringa i suoi camerati

Mai un gerarca locale fu tanto temuto ed odiato. Le sue interferenze in tutta la pubblica amministrazione creavano continui frizioni tra i vari organi della stessa ed erano intollerabili. Uomo violento, manesco e corrotto, il suo frequente ricorso a vie di fatto contro cittadini indifesi, l'esercizio di potere illimitato e senza regole, la distribuzione capricciosa di cariche, di favori e di prebende, lo rendevano inviso in tutti gli ambienti, compresi quelli dello stesso P.N.F. Nella stanza accanto a quella del suo ufficio, nel palazzo dei Chierici di piazza Duomo, dove aveva sede la federazione fascista, teneva un letto dal quale dovevano passare le mogli dei postulanti, se davvero questi volevano ottenere quello che chiedevano. Tutto ciò era ben noto in città, ma io avevo una fonte privilegiata di informazione: un mio amico e collega di università era impiegato amministrativo negli uffici della federazione fascista e tutte le sere mi aggiornava sulle turpi vicende che si svolgevano nella sede principale del P.N.F. catanese.” (Franco Pezzino - Per non dimenticare)

Burocrate in camicia nera, causò parecchi problemi alle istituzioni ecclesiastiche di Acireale soprattutto per due questioni: gli asili gestiti da religiose e il distintivo di Azione Cattolica. Dava con molta parsimonia l’ordine di cacciare via le suore, sostituendole con alcune signorine della GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Come racconta padre Francesco Savia in una lettera indirizzata al vescovo:

“V. Ecc. non ha bisogno di miei consigli, però, creda, sarebbe buono avvisare il Santo Padre sul discorso anticlericale del federale a Linguaglossa che ha incrinato l'accordo tra lo Stato e il Vaticano per avvisare il duce, il quale son sicuro che se non lo manderà a riposo, gli darà una forte tirata di orecchi. Passare sopra l'operato del federale nella nostra diocesi, specialmente con la sostituzione delle suore negli asili di Linera e di Acicatena, come mi ha riferito il mio parroco, sarebbe farlo diventare più tracotante e nocivo alle nostre istituzioni cattoliche.”

 Riguardo all'Azione Cattolica, il vescovo raccontò che in alcune adunate il Segretario Federale, Pietrangelo Mammano, si era permesso di dire che essa era "un residuo del Partito Popolare", quindi bisognava "guardarsene e diffidarne": aggiunse poi che la sede di Azione cattolica era stata prese di mira e si adoperavano vari mezzi.

Un accanimento particolare lo subì lo studente di giurisprudenza Michele Pulvirenti, segretario della Giunta diocesana di Azione Cattolica, per un suo scritto sul periodico diocesano la buona novella,  che il federale aveva volutamente mal interpretato e che comporterà quasi la morte civile per il giovane (senza tessera di partito era compromessa la carriera universitaria e la partecipazione a pubblici concorsi). Chiaramente questo sopruso vendicativo del cinico federale Mammana, nei confronti del fucino Pulvirenti, era palesemente una violenza psicologica verso gli aderenti all'Azione Cattolica acese, diffidati a non prendere iniziative negative verso il regime.

Ma la vicenda relativa alla Banca Cattolica di Caltagirone supera qualunque immaginazione. Il Mammano e lo Zangàra furono attirati dagli eccellenti affari che grazie all’ammasso volontario gravitavano da quelle parti ed i tentativi, leciti ed illeciti, di metterci le mani sopra furono la goccia che fece traboccare il vaso. L’obbiettivo dichiarato era quello di estirpare l’ultima radice di Don Luigi Sturzo da Caltagirone, l’effetto ottenuto invece fu quello di essere defenestrati dalle loro funzioni, in quanto avevano agito arbitrariamente e stupidamente, recando un grave danno non solo alla vecchia banca ma anche al regime. 

Mammano fu destituito dalla carica Il 19 dicembre del 1939, dopo il siluramento del segretario nazionale del P.N.F. Achille Starace. La caduta di Mammano fece tirare un sospiro di sollievo ai catanesi che della sua prepotenza proprio non ne potevano più. Il 25 gennaio 1940 gli veniva ritirata anche la tessera fascista, con la seguente motivazione: “Nell’esercizio delle sue funzioni che gli derivavano dalla sua carica politica, si rendeva immeritevole di militare nei ranghi del P.N.F.

Il 24 agosto 1942, Mammano rimase vittima di una disgrazia; durante un allarme aereo, si trovava nella sua autorimessa dove aveva accumulato riserve di benzina illegalmente accaparrata in violazione delle norme sul razionamento. L’accensione di un lume, a seguito degli oscuramenti, provocò un violento incendio che causò all’ex federale gravissimi ustioni. La morte lo colse qualche giorno dopo.

Il federale Mammano fu reso famoso, dopo la sua morte, dagli scritti di Vitaliano Brancati e principalmente dal racconto Il bell’Antonio, pubblicato nel 1949, dove non è difficile cogliere nel federale Pietro Capàno  episodi di cui Pietrangelo Mammano  era stato protagonista. 


3 – L’ente morale

Sulla collina intanto gli angusti locali, adiacenti la chiesetta di San Nicola, dopo la dismissione del camposanto, erano stati utilizzati come aule scolastiche; nel 1932 diventano argomento di discussione per la creazione di un ospizio.

Negli anni precedenti, ai poveri e derelitti di Centuripe, aveva pensato mastro Luciano Cacia, un centuripino che della carità aveva fatto una propria missione di vita; egli aveva messo a loro disposizione gratuitamente un piccolo alloggio con un paio di stanze, di cui era proprietario. La missione civile di mastro Luciano aveva commosso e ispirato il Can. Antonino Mammana, che individuò, negli angusti locali del comune, presso la chiesa di San Nicola e nella fattibilità di fare gestire un ospizio per i poveri, alle suore bocconiste di Palermo, la possibilità di dare un aiuto significativo alle fatiche di mastro Luciano.

Ne parlò con il Podestà, Geom. Cav. Bonomo Giuseppe, che a sua volta, accogliendo la lodevole iniziativa, accettò di donare quei locali comunali e l’area dell’ex camposanto per la organizzazione di un ospizio di mendicità per i poveri. Era un primo piccolo ma significativo passo. Il 5 giugno 1932,  giunsero da Palermo quattro Suore Bocconiste, accompagnate dal Can. Mammana, che si insediarono nella modesta ed angusta casa; i primi poveri ad essere trasferiti a San Nicola e a  ricevere le loro cure furono proprio quelli di  mastro Luciano. Ad essi si aggiunsero presto altri mendicanti, uomini e donne. Gli anni immediatamente a seguire furono caratterizzati da mille difficoltà; gli spazi in quei locali erano insufficienti, il cibo e i mezzi di sussistenza scarseggiavano, mentre le richieste di assistenza e ricovero aumentavano.

La svolta sul futuro dell’umile ospizio arrivò subito dopo la fatidica data dell’agosto del ‘42. Un  tragico lutto, come abbiamo saputo, si era abbattuto sulla famiglia del cav. Salvatore Mammano. L'unico figlio, Pietrangelo, il federale, era morto tragicamente all'età di 36 anni. Tutta la famiglia Mammano era rimasta sconvolta dall'immatura scomparsa dell'unico erede d'immense sostanze. Si poneva il problema della successione delle proprietà e dei beni;  alla fine Prospero convinse i propri fratelli Salvatore, Antonino, e le proprie sorelle Rosaria, Antonietta e Graziella a donare tutti i loro beni all'Ospizio di S. Nicola in Centuripe.

Le disposizioni testamentarie dei fratelli Mammano furono nella sostanza identiche; lasciarono la nuda proprietà dei loro beni immobili all'Ospizio di San Nicola, riservandosi per sé e per i propri congiunti, fino alla morte, l'usufrutto. Lo scopo di queste generose donazioni fu l'istituzione a San Nicola di una Pia Opera, intitolata  allo sfortunato federale:« Fondazione Pietrangelo Mammano - D'Amico ».

Il clero e la nuova classe politica improntata alla fede cristiana che, da quel federale, tante bastonate avevano ricevuto, a fronte del pesante fardello di disperazione dei congiunti del Mammano e soprattutto dei loro denari, avevano accettano subdolamente di tenersi a ricordo perenne proprio quel personaggio i cui comportamenti estremi furono non solo causa di danni morali, umiliazioni, dolore e disperazione per un numero infinito di uomini e donne, ma motivo perfino di una defenestrazione da quella organizzazione che lo aveva reso per anni potente e intoccabile. La nemesi della storia capovolta dalla nemesi del denaro.

Secondo i testamenti, le finalità della Fondazione dovevano essere l’ampliamento e gestione immediata e perpetua dell'attuale Ospizio di mendicità di Centuripe, la costruzione di un orfanotrofio, di un ospedale medico-chirurgico e di un asilo per incurabili deformi e deficienti di mente, in Centuripe.

La  Fondazione inoltre veniva affidata al Pio Ordine religioso, Serve dei Poveri, e Prospero Mammano veniva designato Presidente a vita dell'Amministrazione e Direttore tecnico per la costruzione dell'Orfanotrofio ed altro da eseguirsi dalla Fondazione.

Il Prefetto di Enna, allo scopo di rendere la Fondazione partecipe dei benefici assistenziali previsti dalla legge, nominò provvidenzialmente Commissario prefettizio, il 18 febbraio del 1946, il medesimo comm. geom. Prospero Mammano; fu realizzata la prima ala ad est del complesso edilizio e furono costruiti tre grandi saloni-dormitorio.

Catastale anni '60 - Ala est del complesso

Con decreto del 27 settembre 1950, n. 171, il Presidente della Regione, Franco Restivo, elevava ad Ente Morale la « Fondazione Pietrangelo Mammano - D’Amico », rinfrancando, in questo modo, anche il nome del federale di quell’integrità morale che esso non aveva coltivato in vita.

Negli anni a seguire, altre donazioni di aree, da parte del Comune, consentirono la edificazione degli altri locali ad ovest e a sud della terrazza, fino all’ottenimento del notevole  complesso edilizio che è possibile ammirare oggi. Paradossalmente le donazioni  del Principe di Paternò Giovanni Luigi Moncada al comune di Centuripe, perfino la sua tumulazione dentro la chiesetta di San Nicola, sono ormai svaniti. Però al comune rimane il compiacimento di due posti di minoranza nel consiglio di amministrazione della Fondazione.

L’ente morale, intanto, può darsi che continui a perseguire gli scopi prefissati dal lascito testamentario; ma dentro non ci sono più i poveri, non ci sono gli orfanelli, non c’è l’ospedale medico-chirurgico, non c’è mai stato; forse il federale, a sua insaputa, anche questa volta ha fatto una vittima.  

Enzo Castiglione


Breve Bibliografia di riferimento:

-       -   Ansaldi Filippo – Memorie storiche di Centuripe – Edigraf, 1981

-          -    Libertini Guido - Centuripe  - Città aperta,1926

-          -    Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.8 1940

-          -    Annali del fascismo – febbraio 1940

-          -    Vitaliano Brancati - Il bell’Antonio - Bompiani, 1949

-          -    Chilanti Felice  - Ma chi è questo Milazzo? – Parenti editore,1959

-          -    Mammana Salvatore – Cenni storici sulla Pia Opera, 1965

-          -    Gallo Concetto memorie 1974

-          -    Nicolosi Pietro - 50 anni di cronaca siciliana  - Flaccovio, 1975

-          -    Pezzino Franco - Per non dimenticare  - C.U.E.C.M., 1992

-          -     Saporita Felice – Eia, eia, eia, alalà! : Acireale nel ventennio fascista - Acireale : Accademia degli zelanti e dei dafnici, 2010

-          -    Milazzo Nino – Acireale nel ventennio fascista, 2010

-          -    Pagano Maria Chiara – Il fascio e la croce. Clero e classi dirigenti ad Acireale fra le due guerre – Lulu, 2012


domenica 9 ottobre 2022

Sei pittori per Centuripe

 

Sei pittori per Centuripe

Premessa

 Nel settembre 1996 si concludeva, finalmente, un lungo percorso tecnico e burocratico per la realizzazione di una interessante mostra di pittura a Centuripe. L’idea era nata qualche anno prima dall’iniziativa di un gruppo di artisti siciliani, tra di loro amici:  D’Inessa, Italia, Sciacca, Sciavarrello, Tantillo, Urzì, che avevano scoperto la città di Centuripe, se ne erano innamorati e avevano quindi pensato di esternare questo sentimento; l’amministrazione comunale di allora ne accolse prontamente l’idea e avviò l’iter di quello che sarebbe diventato un evento unico. Ognuno dei sei pittori era presente con tre opere su un unico tema: Centuripe. Diciotto opere legate da un filo unico suddiviso in sei diversi capitoli; un vero e proprio omaggio a questa terra. 

Purtroppo l’assenza all’epoca dei social, che così tanto riescono a veicolare oggi, la durata della mostra (solo due settimane) e la scarsezza di fondi e mezzi a disposizione, resero quell’interessante avvenimento, solo una appendice alle festività patronali di quell’anno, relegato solo alla comunità centuripina che lo ospitava e, di essa, a pochi interessati fruitori.

 La location che ospitò l’avvenimento non fu scelta per caso; la suggestiva Chiesa del Purgatorio era stata appena restaurata e si voleva mettere davanti agli occhi di tutti il risultato dei recenti lavori di restauro.

Qualcosa, comunque, è rimasto oltre al ricordo dell’avvenimento. Sei di quelle diciotto opere, acquistate dal comune, sono rimaste a Centuripe, una per ogni artista. Da ventisei anni fanno bella mostra di se nelle stanze di rappresentanza del Sindaco al comune. L’idea del Sindaco, originale, profondamente innovativa e condivisa, era quella di dotare il comune di Centuripe, nel tempo, di una vera e propria pinacoteca, cioè una collezione di opere d’arte esposte permanentemente in un idoneo ambiente del Comune.

Questo piccolo contributo, memore dell’avvenimento, vuole rendere omaggio agli artisti protagonisti, alla memoria di chi tra loro purtroppo e venuto a mancare e al contributo critico del Prof. Paolo Giansiracusa, che resero speciale quell’avvenimento, turbato solo da piccole incomprensioni e dalla presenza ingombrante di collaboratori, sulla cui complessità e leggendaria lentezza burocratica è meglio stendere un velo pietoso.

 Con i fondi elargiti dalla regione, a finanziare l’evento, furono fatti stampare, oltre alle locandine e agli inviti, un migliaio di copie del prezioso catalogo, ancora oggi testimone dell’evento. I testi che seguono, a corredo delle immagini dei dipinti e che supportano l’opera degli artisti nel modo più appropriato, sono tratti proprio dal catalogo delle opere e rappresentano il prestigioso contributo del Prof. Paolo Giansiracusa.                                                                                                                                                                                      Enzo Castiglione




    Calanchi centuripini - olio su tela - 70x90 (Proprietà Comune di Centuripe)

                    Il vulcano Etna - olio su tela - 100x120

    Sul greto del Salso - acquarello - 20x17


    L'Etna visto da Centuripe - pastello - 64x44

    Spazio barocco - pastello - 66x45,5 (Proprietà Comune di Centuripe)

                     Chiesa Madre, memoria dell'antico - pastello - 62x46


                          Palma e colonna corinzia - tecnica mista - 43,5x51,5

    Monte Calvario - tecnica mista - 43,5x51,5

    La Panneria - tecnica mista - 43,5x51,5 (Proprietà Comune di Centuripe)


    Centuripe: "Contrade inesplorate" - olio su tela - 70x70

    Centuripe: "La valle e la collina" - olio su tela - 60x50

    Centuripe: "Il verde dei monti" - olio su tela - 60x50  (Proprietà Comune di Centuripe)


    Primavera a Centuripe - tempera - 60x40

    Omaggio a Centuripe - tempera - 60x40

    Paesaggio - tempera - 68x48 (Proprietà Comune di Centuripe)


                           L'isola del sud - olio su tela - 60x100 (Proprietà Comune di Centuripe)

    Oltre i confini del cielo - olio su tela - 70x90

    La luce della speranza - olio su tela - 80x70




Note di rif.:
Del. G.M. n° 361   06/06/1994
Del. G.M. n° 850   28/12/1994
Del. G.M. n° 62     14/02/1995
Del. G.M. n° 824   29/12/1995
Del. G.M. n° 673   19/12/1996